LA TUTELA DELL’INTEGRITÀ PSICHICA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

A distanza di un mese dall’introduzione delle prime misure restrittive sull’intero territorio nazionale il Governo con il dpcm del 10 aprile ha tra l’altro prorogato fino al 3 maggio gran parte delle misure incidenti sulla libertà personale già precedentemente introdotte.
 
Come è noto, muovendo dal presupposto che il distanziamento sociale costituisca l’unica forma attuale per ridurre il contagio, l’obiettivo è la tutela della salute pubblica, costituzionalmente garantita dall’art. 32 della Costituzione.
 
Tuttavia, il perdurante stato di “detenzione” domiciliare cui è stata sottoposta l’intera nazione e gli evidenti consequenziali effetti patologici che il suo perdurare produce, sia in termini economici che psicologici, hanno spinto molti giuristi a sollevare dubbi sulla <<legittimità costituzionale di alcune misure adottate>>.
 
Ed è doveroso chiarire che il dibattito giuridico non rappresenta affatto una forma di disfattismo sterile, ma una doverosa risposta alle numerose istanze che pervengono dalla comunità e un auspicabile spunto di riflessione per chi oggi è chiamato ad assumere decisioni in merito.
In tale ultima prospettiva è doveroso chiedersi se alcune delle misure “preventive” siano effettivamente giustificate dalla necessità della tutela della salute pubblica o, piuttosto, finiscono per costituire esse stesse una violazione del diritto alla salute.
 
Sotto il primo aspetto è già stato chiarito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che l’adozione di misure coercitive della libertà personale ai fini della tutela costituzionale della salute pubblica può ritenersi ammissibile allorquando dette misure siano l’unico strumento in grado di preservare lo stato di salute della collettività.
Se ciò è vero bisogna chiedersi se alcune misure contenute da ultimo nel dpcm del 10 aprile rispettino tale parametro.
Il riferimento è alle disposizioni che introducono in modo generalizzato il divieto di circolazione (ad eccezione delle ragioni di salute, lavoro o altri casi di assoluta necessità), il divieto di raggiungere proprie abitazioni diverse da quella principale e il divieto di attività ludica o ricreativa all’aperto, se non in prossimità della propria abitazione.
 
👉 È evidente, anche a chi non è esperto della materia, che lo svolgimento di tali attività di per sé non incrementa il rischio di contagio.
 
Esse possono, viceversa, diventare “pericolose” per la salute pubblica allorquando diano vita ad un contatto sociale, intendendosi per esso la contemporanea presenza di più persone poste tra loro a distanza ravvicinata e prive di dispositivi di protezione individuale.
Se ciò è vero sorge il dubbio in ordine alla legittimità costituzionale delle suindicate misure restrittive venendo meno il presupposto della loro necessarietà ai fini della tutela della salute pubblica.
Quest’ultimo obiettivo, infatti, ben potrebbe essere perseguito con l’applicazione della meno restrittiva misura dell’obbligo di distanziamento sociale e quella dell’utilizzo di dispositivi di protezione individuale, pur previste nel decreto in esame.
 
🧐 Ma, come si accennava in precedenza, le misure in esame, oltre ad apparire “eccessive” rispetto al fine perseguito, rischiano di essere esse stesse dannose per la salute dell’individuo e, quindi, di ledere in via diretta un diritto costituzionalmente garantito.
 
Infatti, l’art. 32 della Costituzione, ancor prima di tutelare la salute come interesse collettivo, riconosce la stessa come “fondamentale diritto dell’individuo”, ossia come diritto assoluto che preesiste all’ordinamento giuridico e, in quanto tale, inviolabile anche da parte dello Stato, se non per la tutela di eguali diritti costituzionali.
 
Pertanto, essendo pacifico che la nozione di salute contenuta nell’art. 32 coincide con l’integrità psico-fisica dell’individuo, ogni azione in grado di ledere tale integrità, se non necessaria per la tutela di un diritto costituzionale, concretizza una violazione del diritto alla salute.
 
Orbene, una parte della comunità scientifica ha messo in evidenza come il prolungarsi delle misure in esame incide notevolmente sugli effetti patologici che un’emergenza produce sulla psiche degli individui, potendo giungere finanche a generare lesioni psichiche durature.
 
Dette evidenze scientifico-sanitarie, se correlate al concetto giuridico di salute contenuto nell’art. 32 della Costituzione, indurrebbero a configurare alcune delle misure di contenimento imposte dal Governo come un fatto lesivo del diritto alla salute del singolo individuo.
 
🛑 Da ciò scaturirebbe l’illegittimità costituzionale di tali misure anche ove strettamente necessarie alla salvaguardia della salute pubblica.
Infatti, come chiarito più volte dalla giurisprudenza costituzionale, nel bilanciamento tra il diritto alla salute dell’individuo e l’interesse alla prevenzione della salute pubblica quest’ultimo non può mai prevalere sul primo allorquando lo strumento prescelto per la tutela della salute pubblica sia dannoso per l’integrità psico-fisica dell’individuo.
 
È auspicabile, quindi, proprio per un’integrale tutela della salute, che le future misure di contenimento del contagio tengano in debita considerazione non solo l’integrità fisica degli individui ma anche quella psichica la cui lesione, soprattutto nei soggetti più a rischio, potrebbe provocare un’ulteriore emergenza sanitaria.
 
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